Le sorprese del GP di Germania

Il Gran Premio di Germania programmato per un trionfo pieno rimane invece ricordato per tre sorprese: una sconfitta inaspettata, una grande vittoria e i patti rispettati.

Il Gran Premio di Germania del 1935 passa negli annali della storia dell’automobilismo come la più grande gara disputata da Tazio Nuvolari quando guidando l’Alfa Tipo B P3,  in maniera monumentale, il piccolo mantovano riuscì a sconfiggere le Frecce d’argento scese sul Nurburing per segnare la loro nona vittoria consecutiva. Quella gara va ricordata anche per un altro motivo, meno importante ma significativo legato al comportamento di Luigi Fagioli che già per due volte era entrato in rotta di collisione con le direttive di Neubauer in merito al fatto di dare strada a un pilota tedesco anche se l’italiano fosse stato più veloce, contrariamente agli accordi presi al momento dell’ingaggio. Prima del via Neubauer chiese a Fagioli di rimanere tranquillo e per garantirsi che l’eugubino si fosse tenuto in disparte gli venne affidata, come a Geier, la vecchia W25 da 3400cc mentre Caracciola e Brauchitsch avrebbero usato il nuovo modello da 4.000cc. Fino al dodicesimo giro, quando l’italiano dovette entrare ai box per registrare frizione e  ammortizzatori, dopo avere dato dimostrazione di essere all’altezza e di sapere rispettare i patti Fagioli, lottando tra il secondo e il quarto alle spalle di Caracciola, con l’ Auto Union di Rosemeyer e l’Alfa di Nuvolari, riuscì a tenersi dietro la più potente W25B di Brauchitsch. Davanti, intanto, Caracciola, con Nuvolari fermo ai box, venne costretto a cedere il comando a Brauchitsch che si trovò a dover resistere all’attacco di Nuvolari. Mentre Brauchitsch causa il dechappamento di una gomma e pessimi ordini di scuderia regalava il trionfo in Germania a Nuvolari. Fagioli, da parte sua, ligio agli ordini concludeva la sua gara nelle retrovie andando a ricoprire il sesto posto.


La Mercedes numero 722 e l’ indelebile ricordo

Sulle strade italiane qualche anno fa si combatté, pigiando sull’acceleratore, un’epica battaglia dall’esito ancora incredibile.

Al via ci sono 521 vetture. La battaglia è tra Italia e Germania con la Ferrari che porta macchine sia con motore da tre litri che 4.4, mentre le Mercedes prendono il via con quattro 300 SLR. Moss prende il via con il navigatore scegliendo il giornalista Denis Jenkinson. La Mercedes di Stirling Moss contraddistinta dal numero 722 è subito veloce ma, la Ferrari – nonostante sia partita 5 minuti più tardi– è più performante tanto che supera il britannico. Al primo punto di controllo a Verona Paolo Marzotto su Ferrari è il leader con una media di 198 km/h. A Ravenna non c’è più Marzotto in testa ma Castellotti, che procede ad un media di oltre 192 orari. Moss però non si dà per vinto percorrendo il tratto da Brescia a Pescara a 190 Km/h. Una follia. Al rilevamento in Abruzzo, il leader della corsa è nuovamente cambiato: davanti a tutti è salita la Ferrari del romano il romano Taruffi che ora è davanti a Moss e alla sua 722 bianca, La Mercedes è vicina, molto vicina fino a che il vantaggio scompare. A giro di boa di Roma il leader è proprio Moss. La Ferrari di Taruffi ha dei problemi meccanici e si ritira dalla corsa, ormai il primo inseguitore è Juan Manuel Fangio. Ma è distante. Il pilota della numero 722 uscito anche di strada non abbandona la testa della corsa fino a Brescia, dove arriva in 10 ore 7 minuti e 48 secondi. La sua media? Mostruosa, un vero record: 157,650km/h, alla quale si unirono i nuovi record sui tratti Brescia-Pescara (189,981 km/h) e Brescia- Roma (173,050 km/h), oltre che sulla Cremona-Brescia (198,464km/h) del gran Premio Nuvolari.

L’ Alfa vince ancora senza la luce dei fari

Come accaduto alcuni anni prima nella gara bresciana, l’Alfa Romeo dopo una battaglia sotto la pioggia e tra il fango raccoglie, come avvenuto anni prima, la vittoria a fari spenti.

Nonostante l’isolamento dell’Italia da parte di molti paesi europei per la Guerra intrapresa in Abissinia, il numero dei partecipanti alla Mille Miglia del 1937 torna a salire raggiungendo la soglia dei centoventicinque partiti. In questa undicesima edizione c’è anche l’adesione della Talbot e della Delahaye presente con due 135CS iscritte dall’Ecurie Bleue. Lo stretto legame che ha il Governo con la gara bresciana viene dimostrato dalla presenza in gara del figlio Vittorio e dell’autista personale del Duce Ercole Boratto. Per aumentare le presenze le iscrizioni sono aperte anche alla Turismo nazionale tuttavia, come negli anni precedenti, le favorite per la vittoria assoluta rimangono le Alfa Romeo messe in campo dalla Scuderia Ferrari. Quell’anno la gara viene disputata sotto la pioggia e le basse temperature che condizionarono il risultato finale. A Bologna Pintacuda è primo seguito dal compagno di squadra Farina alla guida dell’Alfa Romeo 2900 e da Dreyfus sulla Delahaye che poco dopo scavalcava Farina. Al controllo di Roma Pintacuda è ancora in testa seguito dalla Delahaye di Dreyfus che però a Tolentino esce di strada, e da quella di Schell che segue l’Alfa Romeo di Farina in classifica ora al secondo posto. Strada facendo mentre Pintacuda che ha problemi ai fari procede accodato all’Alfa di Farina, partito prima di lui, abbandonano le due Talbot. Pintacuda dopo una gara corsa sotto la pioggia e i fari non funzionanti, grazie all’aiuto del compagno di squadra che lo ha portato accodato alla sua Alfa fino al traguardo, vince la sua seconda Mille Miglia in 14h 17’ e 32” a 114,747km/h. Le Alfa in questa edizione non riescono però a occupare tutto il podio come negli anni passati perché una Delahaye guasta le uova nel paniere.