Il Gran Premio che ripete un copione

Già per tre Gran Premio le Alfetta della Scuderia del Portello sono andate a podio, e anche questa volta il copione si ripete.

Alla terza gara disputata in Europa valida per il Campionato di F1 del 1950 l’Alfa si presenta al Gran Premio di Svizzera con le tre Alfetta 158, risultate imprendibili nelle gare fin li disputate, affidate nelle mani dei suoi tre piloti. Fagioli, Fangio e Farina. Nel Gran Premio svizzero, come al solito, gli avversari scesi in campo sono le quattro Ferrari di Ascari, Villoresi, Sommer e Whitehead. Al termine delle prove, come accaduto nel Gran Premio di Silverstone, le tre Alfa riescono ad occupare la prima linea dello schieramento lasciando alla Ferrari solamente le due file successive. Nel corso del Gran Premio la Ferrari di Ascari prova a tenere il passo degli alfisti, ma al quinto giro per problemi alla lubrificazione, il milanese è costretto a scendere dalla sua 125. Intanto in pista Fangio e Farina battagliano tra di loro seguiti da Fagioli che fa buona guardia mentre dietro al veloce terzetto, giro dopo giro, una dopo l’altra le macchine della Scuderia Ferrari che non riescono a reggere il ritmo scompaiono per lasciare il posto alla celeste Talbot di Rosier e alle Maserati che risalgono qualche posizione. C’è da dire che in questo frangente, mentre Luigi Fagioli sta rimontando sui compagni di squadra, anche le Alfa devono lasciare per strada qualche pezzo rappresentato dall’Alfetta dell’argentino a causa di un problema elettrico. Nove giri dopo delle diciotto macchine che hanno formato lo schieramento del Gran Premio, con le due Alfa Romeo di Farina e Fagioli prepotentemente davanti a tutti e uniche a pieni giri, solamente in undici sono quelle che si presentano davanti alla bandiera del direttore di gara per andare a tagliare lo striscione dell’arrivo.

Estratto da:“Luigi Fagioli Il Pilota che non disse mai basta”



Montecarlo,Le Mans,Targa Florio e la Lancia

Le Mans, Targa Florio due gare unite dalla presenza di una Lancia con la stessa targa avuta in dotazione dall’Aurelia B20 di Fagioli incidentata a Montecarlo.

Rivedendo alcune immagini che compaiono su internet viene quasi spontaneo chiedersi come sia potuto accadere quello che poi è accaduto per ben due volte; la prima il 15 giugno del 1952 alla 24Ore di Le Mans e la seconda alla Targa Florio del 29 dello stesso mese. Tutto nasce ai primi di quell’anno quando la Lancia scelse di scendere in campo agonistico con una propria squadra mettendo a disposizione di sei piloti, altrettante B20 prodotte in serie speciale che, per evitare problemi di responsabilità civile e penale, fece intestare ai singoli piloti: Valenzano TO 129667 amaranto; Ippocampo MI 186996 amaranto; Bonetto MI 186992 verde, Ammendola TO 129666 celeste, Anselmi GE 59705 giallo, Fagioli AN 16960 grigio. A queste ne venne aggiunta una settima, di colore amaranto, immatricolata TO 138918 rimasta in Fabbrica, intestata alla Società. Il 31 maggio del 1952 Luigi Fagioli è a Montecarlo per disputare il I Prix di Montecarlo per vetture GTI dove purtroppo rimase vittima di un grave incidente che, rendendo inservibile la B20, lo portò al ricovero ospedaliero e al decesso avvenuto il 2gno. Quello che ora potrebbe rimanere oggetto di riflessione è:

  1. come sia stato possibile partecipare a due gare con una macchina, non di colore grigio ma di colore amaranto, contraddistinta dalla targa di circolazione AN 16960 che il mondo sportivo sapeva essere stata distrutta in un incidente pochi giorni prima e il cui proprietario, Luigi Fagioli, non poteva avere titolo a iscrivere l’equipaggio Valenzano-Ippocampo a Le Mans ne Bonetto alla Targa Florio a nome della Scuderia Lancia: ?
  2. quale risposta logica si può dare all’avere preso parte, con equipaggi ufficiali, a due gare facendo ricorso all’uso di una targa di immatricolazione legata a uno specifico numero di telaio distrutto in un incidente il cui proprietario, almeno dai documenti di circolazione, risultava in una occasione gravemente ricoverato in ospedale, il 15 giugno vedi Le Mans, e il 29 giugno vedi Targa Florio, addirittura deceduto?








Quando la cronaca riporta i sentimenti.

Non accade spesso che la cronaca vada oltre il contenuto del semplice fatto commentato ma quando avviene si qualifica il giornalista e gratificano i lettori.

Nel GP di Brno del 1930 l’Alfa Romeo e i suoi due piloti: Borzacchini e Nuvolari sono attesi per la conferma del loro valore. Per la gente e la cronaca sono già vincitori ma la sorte deciderà diversamente. Sul tracciato dalla battaglia tra le Alfa e le Bugatti di Leiningen, Burgaller e Von Morgen, solo grazie alla sfortuna che si accanisce con i due piloti italiani costretti a fermarsi, inseguire, rimontare sorretti dal tifo del pubblico, le Bugatti riescono ad emergere solo all’ultimo giro inseguite dall’Alfa di Borzacchini sulla quale alla guida c’è Nuvolari, appiedato alcuni giri prima dal motore della sua Alfa. Per la gente Baconin e Tazio è come se avessero vinto, la grinta e l’incisività della loro azione è riportata nella cronaca del Lidovè Novotny: “Dva italovè, Nuvolari a Borzacchinimu. Non so perché auguravo la vittoria a questi due italiani. Forse mi spingeva il bel colore rosso scuro delle loro terribili macchine, o forse il nome altisonante di esse: Alfa Romeo, ma anche, e questa sarà forse la vera ragione, i miei auguri erano provocati dallo spavento che ci prendeva tutti, quando, ammassati lunga la pericolosa serpentina di Ostravice guardavamo come questi due coraggiosi affrontavano la terribile “S” in cemento  armato. Lo spettatore sdraiato sull’orlo della strada, con la testa riparata da un paracarro e con la macchina fotografica in vista, che poteva vedere i loro slittamenti intenzionali a un solo millimetro dal ciglio della strada, e qualche volta  anche oltre la estremità stessa, con una ruota in aria, solo lui poteva misurare la differenza tra la corsa di questi due italiani, e la corsa degli altri. Quegli altri correvano così che lo spettatore vedendoli passare in curva si diceva: “L’ha presa bene!”. Ma quando passavano questi, tutti vedevano che essi correvano per la vita e per la morte, e tutti allora trattenevano il respiro”.