L’ Alfa vince di nuovo senza la luce dei fari

Come accaduto alcuni anni prima nella gara bresciana, l’Alfa Romeo dopo una battaglia sotto la pioggia e tra il fango raccoglie, similmente, la vittoria in assenza della luce dei fari.

Nonostante l’isolamento dell’Italia da parte di molti paesi europei per la Guerra intrapresa in Abissinia, il numero dei partecipanti alla Mille Miglia del 1937 torna a salire raggiungendo la soglia dei centoventicinque partiti. In questa undicesima edizione c’è anche l’adesione della Talbot e della Delahaye presente con due 135CS iscritte dall’Ecurie Bleue. Lo stretto legame che ha il Governo con la gara bresciana viene dimostrato dalla presenza in gara del figlio Vittorio e dell’autista personale del Duce Ercole Boratto. Per aumentare le presenze le iscrizioni sono aperte anche alla Turismo nazionale tuttavia, come negli anni precedenti, le favorite per la vittoria assoluta rimangono le Alfa Romeo messe in campo dalla Scuderia Ferrari. Quell’anno la gara viene disputata sotto la pioggia e le basse temperature che condizionarono il risultato finale. A Bologna Pintacuda è primo seguito dal compagno di squadra Farina alla guida dell’Alfa Romeo 2900 e da Dreyfus sulla Delahaye che poco dopo scavalcava Farina. Al controllo di Roma Pintacuda è ancora in testa seguito dalla Delahaye di Dreyfus che però a Tolentino esce di strada, e da quella di Schell che segue l’Alfa Romeo di Farina in classifica ora al secondo posto. Strada facendo mentre Pintacuda che ha problemi ai fari procede accodato all’Alfa di Farina, partito prima di lui, abbandonano le due Talbot. Pintacuda dopo una gara corsa sotto la pioggia e i fari non funzionanti, grazie all’aiuto del compagno di squadra che lo ha portato accodato alla sua Alfa fino al traguardo, vince la sua seconda Mille Miglia in 14h 17’ e 32” a 114,747km/h. Le Alfa in questa edizione non riescono però a occupare tutto il podio come negli anni passati perché una Delahaye guasta le uova nel paniere.


Il Gran Premio che ripete un copione

Già per tre Gran Premio le Alfetta della Scuderia del Portello sono andate a podio, e anche questa volta il copione si ripete.

Alla terza gara disputata in Europa valida per il Campionato di F1 del 1950 l’Alfa si presenta al Gran Premio di Svizzera con le tre Alfetta 158, risultate imprendibili nelle gare fin li disputate, affidate nelle mani dei suoi tre piloti. Fagioli, Fangio e Farina. Nel Gran Premio svizzero, come al solito, gli avversari scesi in campo sono le quattro Ferrari di Ascari, Villoresi, Sommer e Whitehead. Al termine delle prove, come accaduto nel Gran Premio di Silverstone, le tre Alfa riescono ad occupare la prima linea dello schieramento lasciando alla Ferrari solamente le due file successive. Nel corso del Gran Premio la Ferrari di Ascari prova a tenere il passo degli alfisti, ma al quinto giro per problemi alla lubrificazione, il milanese è costretto a scendere dalla sua 125. Intanto in pista Fangio e Farina battagliano tra di loro seguiti da Fagioli che fa buona guardia mentre dietro al veloce terzetto, giro dopo giro, una dopo l’altra le macchine della Scuderia Ferrari che non riescono a reggere il ritmo scompaiono per lasciare il posto alla celeste Talbot di Rosier e alle Maserati che risalgono qualche posizione. C’è da dire che in questo frangente, mentre Luigi Fagioli sta rimontando sui compagni di squadra, anche le Alfa devono lasciare per strada qualche pezzo rappresentato dall’Alfetta dell’argentino a causa di un problema elettrico. Nove giri dopo delle diciotto macchine che hanno formato lo schieramento del Gran Premio, con le due Alfa Romeo di Farina e Fagioli prepotentemente davanti a tutti e uniche a pieni giri, solamente in undici sono quelle che si presentano davanti alla bandiera del direttore di gara per andare a tagliare lo striscione dell’arrivo.

Estratto da:“Luigi Fagioli Il Pilota che non disse mai basta”



Montecarlo,Le Mans,Targa Florio e la Lancia

Le Mans, Targa Florio due gare unite dalla presenza di una Lancia con la stessa targa avuta in dotazione dall’Aurelia B20 di Fagioli incidentata a Montecarlo.

Rivedendo alcune immagini che compaiono su internet viene quasi spontaneo chiedersi come sia potuto accadere quello che poi è accaduto per ben due volte; la prima il 15 giugno del 1952 alla 24Ore di Le Mans e la seconda alla Targa Florio del 29 dello stesso mese. Tutto nasce ai primi di quell’anno quando la Lancia scelse di scendere in campo agonistico con una propria squadra mettendo a disposizione di sei piloti, altrettante B20 prodotte in serie speciale che, per evitare problemi di responsabilità civile e penale, fece intestare ai singoli piloti: Valenzano TO 129667 amaranto; Ippocampo MI 186996 amaranto; Bonetto MI 186992 verde, Ammendola TO 129666 celeste, Anselmi GE 59705 giallo, Fagioli AN 16960 grigio. A queste ne venne aggiunta una settima, di colore amaranto, immatricolata TO 138918 rimasta in Fabbrica, intestata alla Società. Il 31 maggio del 1952 Luigi Fagioli è a Montecarlo per disputare il I Prix di Montecarlo per vetture GTI dove purtroppo rimase vittima di un grave incidente che, rendendo inservibile la B20, lo portò al ricovero ospedaliero e al decesso avvenuto il 2gno. Quello che ora potrebbe rimanere oggetto di riflessione è:

  1. come sia stato possibile partecipare a due gare con una macchina, non di colore grigio ma di colore amaranto, contraddistinta dalla targa di circolazione AN 16960 che il mondo sportivo sapeva essere stata distrutta in un incidente pochi giorni prima e il cui proprietario, Luigi Fagioli, non poteva avere titolo a iscrivere l’equipaggio Valenzano-Ippocampo a Le Mans ne Bonetto alla Targa Florio a nome della Scuderia Lancia: ?
  2. quale risposta logica si può dare all’avere preso parte, con equipaggi ufficiali, a due gare facendo ricorso all’uso di una targa di immatricolazione legata a uno specifico numero di telaio distrutto in un incidente il cui proprietario, almeno dai documenti di circolazione, risultava in una occasione gravemente ricoverato in ospedale, il 15 giugno vedi Le Mans, e il 29 giugno vedi Targa Florio, addirittura deceduto?